venerdì 19 marzo 2010

Mostri e Spettri giapponesi

Oggi niente domande. Come promesso, mi abbandonerò al piacere della scrittura e dell’approfondimento culturale, visto che è da più di due anni, cioè da quando mi sono laureato in Lingue Orientali, che non mi capita di scrivere un pezzo interessante sulla mia passione di una vita: il Giappone.
L’argomento del giorno vuole essere quello dell’immaginario popolare giapponese, nella fattispecie quello caratterizzato dalla vasta zona d’ombra che si cela dietro le radici stesse delle due religioni nazionali (per quanto l’una sia autoctona, l’altra importata), lo shintoismo e il buddhismo. Mostri, fantasmi, spiriti, demoni, tutto un vasto “pantheon” di creature malevole costituisce parte integrante della cultura popolare giapponese e della sua spiccata spiritualità, e ciò si evince dalla grande proporzione di racconti, romanzi, aneddoti, film e finanche fumetti dedicati a questo argomento sotto le forme più disparate. Perché la vita non finisce dopo la morte, neanche per i giapponesi. Si trasforma anzi in una forma più eterea, spirituale o… mostruosa. Ma partiamo dall’inizio.


Lo shintoismo è la “via degli dei”, shinto se letto secondo la pronuncia cinese giapponesizzata, kami no michi se letto alla giapponese. Originariamente consistente in un culto della natura con elementi sciamanici e animistici al suo interno, lo shintoismo ha vantato nel corso dei secoli numerose trasformazioni, ma ha conservato la sua essenza fondamentale, quella di “religione dello spirito”, ed è oggi la religione di Stato giapponese con un pantheon che oscilla fra le 80 e le 800 mila divinità. Alcuni dicono che fra dei e spiriti, in Giappone vivano addirittura otto milioni di creature sovrannaturali. La stessa arcaica definizione del Giappone come di “Shinkoku” (Paese degli Dei) testimonia l’importanza che la cultura scintoista ha rivestito, riveste e continuerà a rivestire in futuro per il popolo del Sol Levante.
Quali sono le sue principali caratteristiche?
Innanzitutto, ogni cosa si compone di materia e spirito. I fiumi, i laghi, gli alberi, le rocce. Ogni cosa ha uno spirito. E bisogna stare molto attenti a non offenderlo, o reagirà con rabbia.
I nostri stessi cari scomparsi, una volta morti, continuano a vivere come spiriti buoni o spiriti malvagi, e infatti il culto dei defunti e degli antenati è una delle principali caratteristiche dello shintoismo. Mostri, spettri e youkai (“apparizioni misteriose”) rappresentano il volto oscuro di una religione che ha fatto dell’aldilà e dello spirito il suo perno.

Esistono gli yuurei (fantasmi), che vagano nel limbo sospeso fra la morte e la pace dell’aldilà perché incapaci di abbandonare il nostro mondo terreno per la pace eterna.
La pace spesso viene preclusa da un assassinio, da una morte violenta, da un sentimento troppo forte o dalla mancanza di un rito di sepoltura. In quel caso, l’anima adirata e insoddisfatta infesterà un luogo, una famiglia o una persona fino all’ottenimento di un esorcismo che soddisfi il suo desiderio e cancelli ogni sua ragione di restare in questo mondo.
Molti lavori teatrali del No e del Kabuki sono stati ispirati a questo tipo di smorie, spesso con protagonisti fantasmi di donne tradite e dilaniate dalla gelosia, in cerca di vendetta per poter ottenere finalmente la pace.


Ci sono poi gli youkai cui abbiamo accennato prima, spiriti maligni che nella stragrande maggioranza dei casi sono considerati pericolosi per l’uomo… Possono essere animali malvagi capaci di assumere fattezze umane, come le volpi (kitsune) o i tassi (tanuki), oppure possono essere creature metà uomo e metà animale, come i kappa o i tengu. Il termine youkai è un’etichetta comunque piuttosto vaga, che generalmente contempla tutta una serie di creature mostruose e sovrannaturali, generalmente accomunate da descrizioni grottesche ed orrorifiche.
Molti youkai umanoidi hanno assunto un aspetto grottesco e mostruoso dopo la morte in seguito al persistere di uno stato emotivo molto forte anche dopo il trapasso. Alcuni vengono abbrutiti dalla rabbia, altri dall’eccessivo amore per se stessi, altri dalla vendetta, e così via.
Non di rado si incontrano nelle leggende giapponesi anche spiriti malvagi che hanno preso possesso di un oggetto, rendendolo magico e animato. In particolare, gli oggetti molto rari e antichi venivano considerati un ricettacolo ideale per uno spirito ostile, e venivano conseguentemente purificati ogni anno mediante la cerimonia del susuharai (che rendeva appunto inoffensivi gli oggetti della casa), oltre ad essere trattati con il massimo riguardo.
Hiroya Oku, nel suo GANTZ, sfrutta le immagini popolari di celebri youkai per elaborare di volta in volta nemici più sofisticati da far combattere ai propri protagonisti.
Gli han-you, i mezzidemoni, sono il frutto dell’amore spesso ingannevole fra uno youkai che abbia assunto fattezze umane e una donna umana.


 

Esistono poi gli oni, demoni malvagi di rara brutalità, culturalmente derivanti forse da una distorsione iperbolica degli antichi nemici del popolo di Yamato, gli Emishi o Ainu, popolazione appartenente a un ceppo etnico ancora non precisato ma di certo non mongolico come i giapponesi; alti, grossi ed estremamente pelosi, a differenza dei giapponesi, questi storici e letali avversari potrebbero essersi trasformati, nel tempo e nell’immaginario collettivo, in Demoni vestiti di pelli di tigre e capaci di brandire mazze grandi quanto un uomo, portatori di devastazione, di pestilenza e di calamità ovunque dirigessero i propri passi.
Fa generalmente parte della cultura giapponese l’interesse e la dedizione a vivere nel rispetto dell’ambiente, della società e finanche del cosmo ostile intorno a sé, e questo contempla anche il farsi carico di tutta una serie di nozioni e di strumenti derivanti dalla tradizione popolare, con i quali mostrarsi “prudenti” nei confronti delle tante entità spirituali ed eteree che condividono assieme all’uomo il nostro piano d’esistenza.
Non è prerogativa dello shintoismo dare una rappresentazione iconografica delle proprie divinità, ma esistono ad oggi numerosissime immagini di spettri, fantasmi, dei, creature, grazie all’influenza del Buddhismo e del suo infinito gusto per le immagini sacre e le iconografia religiosa.
Un po’ quel che è successo con la tradizione giudaico-cristiana, fortemente impregnata di iconolatria pagana.
Sempre di derivazione buddhista è anche la descrizione e la ripartizione dell’aldilà in diverse “sfere”:
 

- Takama ga hara (La Piana Celeste, dimora degli dei celesti)
- Naka no kuni (Il Paese di Mezzo, dimora degli dei terrestri)
- Yomi no kuni (Il Regno di Yomi, dove Yomi sta per “Ade”, dimora dei defunti e delle divinità sotterranee)


Il Paese di Mezzo è, neanche a dirlo, il più affollato di tutti: uomini e spiriti vi convivono più o meno consapevolmente, e questi ultimi esercitano un magico influsso sulla sfera dell’umano.
A questa ripartizione si sovrappone poi quella dell’Inferno Buddhista, governato dal Re Enma e dai suoi oni, e del Paradiso dei Buddha, dove l’uomo virtuoso troverà la salvezza.
Questo passaggio è importante per capire come tutto l’insieme degli spiriti elementali e naturali dello shintoismo giapponese venne, sotto la spinta delle influenze culturali e religiose dal continente, trasformato in un nuovo pantheon di demoni e mostri, spesso ostili all’uomo, che potevano però essere “arginati” tramite una serie di rituali e formule non a caso di derivazione buddhista e taoista.
La cultura del sovrannaturale e della tradizione popolare riesplose con forza proprio nel tardo XIX secolo e nel XX secolo, quando, posto dinanzi all’invasione della civiltà e della modernizzazione occidentale, il Giappone, al fine di ritrovare la propria identità più pura e spiccata nel vortice degli input che gli arrivavano dal mondo esterno, si ancorò proprio a quel corpus di abitudini, di riti e di credenze che gli derivavano dalla sua lunghissima tradizione passata.
A ben pensarci è straordinario come questo popolo, per la cui correttezza, rispetto e disciplina l’occhio occidentale da sempre si stupisce, abbia saputo reinterpretare le origini e i cardini fondamentali della propria cultura imparando a distinguere nettamente il piano dell’umano da quello del trascendente, dando di riflesso a se stesso il giusto posto nel mondo. Credere nelle divinità benefiche aiuta a vivere la vita con ottimismo, mentre credere che esitano dei poteri oscuri pronti a nuocere a noi stessi e alla società, fa da deterrente nei confronti della violazione di certe norme culturali e comportamentali.
Nel bisogno di dare ordine al caos in un cosmo ostile, si riflette la mentalità più intima e spontanea del popolo giapponese.


Ci sarebbe molto, molto altro da dire, e anzi mi scuso se queste mie parole potranno essere risultate approssimative in alcuni passaggi. Purtroppo l’esigenza di brevità mi costringe a essere il più sintetico possibile, spero comunque di aver fornito a voi lettori alcuni eleventi in più per meglio apprezzare il sostrato culturale giapponese che da tanti manga spesso trasuda senza essere colto appieno. Vi rinnovo poi il mio personale invito a non lasciarvi sfuggire I SIGNORI DEI MOSTRI, uno splendido manga di Hiroshi Shiibashi, curato dalla nostra Elena Zanzi, che da aprile saprà catapultarvi appieno nelle atmosfere e nelle leggende che vi ho finora descritto.


Alla prossima!

 

 

 

http://tinyurl.com/yk5nr2t

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